Povertà ed esclusione sociale in Sardegna: la presentazione del report

Lunedì 8 novembre è stato presentato alla stampa il report regionale su povertà ed esclusione sociale in Sardegna. L’appuntamento, organizzato dalla delegazione regionale Caritas, si è svolto nel seminario arcivescovile di Cagliari a pochi giorni dalla quinta Giornata mondiale dei Poveri di domenica 14 novembre, istituita da Papa Francesco e accompagnata da un suo messaggio dal titolo I poveri li avete sempre con voi (Mc 14,7). Hanno partecipato all’incontro con i giornalisti S.E. mons. Giovanni Paolo Zedda, Vescovo di Iglesias, delegato della Conferenza Episcopale Sarda per il Servizio della Carità, e Raffaele Callia, delegato regionale Caritas Sardegna.

A livello nazionale, dopo la significativa riduzione registrata nel 2019 – in concomitanza con l’introduzione del Reddito di cittadinanza – nell’anno dell’avvento della pandemia Covid-19, la povertà assoluta è nuovamente aumentata, raggiungendo il livello più elevato dal 2005. Infatti, il numero delle famiglie in condizioni di povertà assoluta è passato da 1.674.000 del 2019 a 2.007.000 del 2020 (pari al 7,7% delle famiglie residenti). Tale aumento è dovuto essenzialmente agli effetti socio-economici della pandemia sulle famiglie. Incremento che, secondo l’Istat, è risultato comunque contenuto in termini di intensità, tenuto conto non solo del livello più basso di consumi registrato nel 2020 ma anche degli strumenti messi in campo a sostegno dei cittadini, fra cui il Reddito di emergenza, l’estensione della Cassa integrazione guadagni e il cosiddetto “Reddito di cittadinanza”. Se nell’anno dell’avvento della pandemia è aumentata la povertà assoluta, sempre a livello nazionale si registra invece una diminuzione della povertà relativa, soprattutto nel Sud Italia, ma non in Sardegna. In questa regione si è registrato un incremento dell’1,1%: l’incidenza della povertà relativa, infatti, è passata dal 12,8% del 2019 al 13,9% del 2020. Sul versante economico l’analisi congiunturale sulla Sardegna proposta dalla Banca d’Italia, riguardo allo scorso anno, pone in luce una diminuzione del PIL di circa l’8% nel 2020 (un calo più contenuto rispetto alla media del Paese e del Mezzogiorno); a metà del 2020, invece, si è registrata una parziale e momentanea ripresa, favorita dal calo dei contagi e dall’allentamento delle restrizioni. Tuttavia, da settembre del 2020 il quadro si è nuovamente indebolito in concomitanza con la risalita della curva epidemica. Con l’inizio del nuovo anno l’economia della Sardegna è rimasta sostanzialmente debole. La complessità del quadro economico e sociale isolano, con l’avvento della pandemia nel corso del 2020, continua a rendere incerto il mercato del lavoro, in particolare quello giovanile, con ulteriori ripercussioni su uno scenario demografico già ampiamente compromesso, come attestano con evidenza i dati della demografia sarda.

Nel corso del 2020 i Centri di ascolto Caritas della Sardegna, distribuiti nei 35 comuni coinvolti nell’indagine, hanno ascoltato – una o più volte – 10.125 persone portatrici di uno o più disagi a livello personale e familiare; il che farebbe moltiplicare tale indicatore a cifre ben più elevate. Considerando la serie storica riguardante i dati dei Centri di ascolto delle Caritas della Sardegna, il numero di 10.125 persone costituisce un dato che appare in notevole aumento rispetto al 2019 (6.876 persone). L’incremento tra il 2019 e il 2020 è stato di 3.249 unità, pari a +47,3%. «Tale aumento – spiega Raffaele Callia – responsabile del Servizio Studi e ricerche della Delegazione regionale Caritas Sardegna e curatore del Report – è conforme alla crescita di circa 1 punto percentuale dell’incidenza della povertà relativa registrata in Sardegna nel 2020 ed è evidentemente associato al peggioramento delle condizioni di vita delle famiglie sarde a causa degli effetti economici della pandemia, in particolare di quei nuclei sprovvisti di tutele e di reti di protezione sociale, con persona di riferimento occupata in modo irregolare e/o precario, fra cui diversi cittadini stranieri». Come aggiunge il responsabile «con riferimento all’impatto prodotto dalla pandemia sui nuovi profili di vulnerabilità individuati dalla Caritas a livello nazionale è importante considerare come la Sardegna si collochi tra le regioni italiane con quote di povertà inedite molto più elevate rispetto alla media nazionale: le persone che si sono rivolte ai Centri di ascolto per la prima volta nel 2020 coprono il 51,5% del totale». Si tratta in maggioranza di cittadini italiani (71,5%). Una quota pari a tre quinti delle persone ascoltate è transitata presso i Centri di ascolto della diocesi di Cagliari (60,1%), la quale assorbe la quota più consistente della popolazione residente nelle diocesi sarde (33,6%). Nel complesso, «appare utile considerare, attraverso una comparazione tra i dati degli anni passati e quelli del 2020 – continua Callia –, come lo scenario straordinario e inatteso della pandemia abbia fatto emergere nuovi profili di povertà. Infatti, se da un lato sono confermati alcuni elementi di carattere strutturale, che vedono delineare da diversi anni i tratti tipici del disagio sociale in Sardegna, dall’altro la pandemia sembrerebbe aver interrotto bruscamente alcune linee di tendenza emerse negli anni precedenti: oltre al dato quantitativo, colpisce il ritorno a una preponderanza del genere femminile e la crescita, a livello familiare, dell’esposizione alle situazioni di vulnerabilità. Inoltre, le necessità primarie associate ai problemi economici e lavorativi si sono amplificate e, come già accennato sopra, si è assistito a un affacciarsi ai Centri d’ascolto di persone non tradizionalmente conosciute dalla rete Caritas». Sono le donne a chiedere prevalentemente aiuto alla Caritas. Tra gli effetti prodotti dalla pandemia sul versante della vulnerabilità sociale si registra anche in Sardegna, conformemente al dato nazionale proposto dalla Caritas Italiana, un’accresciuta esposizione alla fragilità da parte delle donne. Infatti, interrompendo dopo sette anni la tendenza di una preponderanza maschile, le persone che si sono rivolte ai Centri di ascolto nel 2020 sono prevalentemente di sesso femminile. Le donne ascoltate nel 2020 coprono il 51,1% del totale. Una persona su due ha tra i 40 e i 50 anni. Dai dati disponibili risulta che alle classi dei quarantenni e dei cinquantenni è associato il maggior numero di persone ascoltate (una persona su due). La classe modale è costituita dai 45-49enni, mentre l’età media è di 47 anni. La classe dei quarantenni copre oltre un quarto del totale delle persone ascoltate (26,3%) mentre quella dei cinquantenni assorbe il 23,3%. I giovani (nella classe d’età 15-24 anni) coprono il 6,7%, mentre le persone che rientrano nella classe d’età dei 65enni e oltre assorbono invece il 10,9% del totale. Sono soprattutto le persone sposate (in particolare le donne) a chiedere aiuto. Con l’avvento della pandemia la quota proporzionale delle persone coniugate è risultata maggiore rispetto a quella delle persone celibi o nubili (negli ultimi due anni erano preponderanti questi ultimi). Rispetto a ciò è bene considerare come anche in Sardegna a subire in modo rilevante le conseguenze economiche dell’emergenza sanitaria siano state soprattutto le famiglie con persona di riferimento occupata in modo irregolare e/o precario, facendo scaturire condizioni di fragilità allargate al proprio nucleo familiare. Chi chiede aiuto alla Caritas vive per lo più in famiglia. La maggior parte di esse vive con i propri familiari o parenti: una quota – pari al 67,8%38 – in significativo aumento rispetto al 2018 (56,5%) e al 2019 (61,0%). E piuttosto evidente come i dati Caritas continuino a rimandare a una situazione di vulnerabilità vissuta in ambito prevalentemente familiare. Di tale disagio familiare sono portavoce per lo più le donne, le quali assorbono poco più di tre quinti dei casi di persone ascoltate che vivono in nuclei familiari (60,3%). Dove vive chi si rivolge ai Centri di ascolto della Caritas. Delle persone ascoltate la maggior parte vive in un domicilio proprio: si tratta di un dato pari al 79,4% del totale. Tuttavia, non sono poche le persone – pari al 5,7% del totale, in gran parte di sesso maschile (82,2%) e per lo più straniere (54,2%) – che hanno dichiarato di trovarsi senza un domicilio stabile o in una situazione di estrema precarietà abitativa. Rimane elevata la quota di persone vulnerate con un titolo di studio medio-basso. Da molti anni i dati dei Centri di ascolto pongono in evidenza l’esistenza di una strettissima correlazione fra un livello non sufficiente di scolarizzazione e una maggiore esposizione ai fenomeni di vulnerabilità sociale. Oltre quattro quinti delle persone rivoltesi ai Centri di ascolto, pari all’81,4%, per lo più di sesso femminile (55,2%), possiede un livello di istruzione basso o medio-basso. Oltre la metà delle persone rivoltesi nel 2020 ai Centri di ascolto delle Caritas della Sardegna (51,4%) ha dichiarato di possedere la sola licenza media inferiore. Fra le cause del disagio, la mancanza di lavoro o il possedere un lavoro precario. La maggior parte delle persone ascoltate, anche nel corso del 2020, ha dichiarato di trovarsi in una condizione di disoccupazione (61,4%), vale a dire alla ricerca di una nuova occupazione a seguito di licenziamento o di conclusione contrattuale di un rapporto di collaborazione o di lavoro subordinato a tempo determinato (disoccupati in senso stretto) o alla ricerca della prima esperienza lavorativa (inoccupati). Le persone disoccupate sono soprattutto uomini (60,4%), con un’età media di 44 anni.

«Come premessa – spiega Callia – va sottolineato che le istanze espresse dalle persone ascoltate non sempre coincidono con i loro effettivi bisogni; è compito degli operatori Caritas andare oltre la richiesta per esplorare, attraverso le storie di vita, le aree di vulnerabilità, le diverse fragilità e dunque i vari bisogni. Si tratta di un servizio essenziale che crea legami di fiducia e che fa spazio anzitutto alla persona, ancor prima che ai suoi problemi. Ecco perché, nel porre in luce la multidimensionalità dei bisogni, esplorando le storie di vita delle persone durante gli ascolti non si deve rimanere ancorati burocraticamente alle richieste. Il tutto senza mai trascurare che il primo bisogno essenziale – anche se non chiaramente esplicitato – resta sempre l’ascolto». Nel corso del 2020 i problemi di natura economica e di occupazione hanno coperto complessivamente oltre tre quinti delle necessità registrate dagli operatori: si tratta di una quota, pari al 67,6%, che appare in notevole crescita rispetto agli anni precedenti (53,8% nel 2019). I bisogni registrati nel 2020 vanno letti nel contesto straordinario della pandemia e delle conseguenti fasi di confinamento resesi necessarie per contrastare il contagio, a causa delle quali le necessità primarie associate ai problemi economici e lavorativi si sono amplificate. Questo spiegherebbe anche la concentrazione dei bisogni rilevati dagli operatori su queste due specifiche aree, con conseguente ricomposizione durante l’anno degli altri versanti di bisogno.

I dati pongono in luce una significativa preponderanza di richieste di beni e/o servizi materiali (81,9%). Mettendo a confronto il 2020 con l’anno precedente emerge un significativo aumento proporzionale delle richieste di beni e servizi materiali. Si tratta, in particolare, del conferimento di viveri, vestiario, prodotti per i neonati, materiale sanitario, biglietti per il trasporto, buoni pasto, prodotti per l’igiene personale, attrezzatura per la casa, ecc. Rispetto a un anno prima, oltre ad essere aumentate le richieste di beni e/o servizi materiali risultano in crescita anche le richieste di sussidi economici, passando dal 10,2% del 2019 al 12,0% del 2020.

A fronte delle 41.132 registrazioni di richieste d’aiuto, nel corso del 2020 gli operatori dei Centri di ascolto hanno rilevato 56.055 registrazioni di intervento. Oltre all’ascolto semplice o con discernimento e progetto delle persone in difficoltà, il tipo di intervento posto in essere più frequentemente dagli operatori dei Caritas è la fornitura di beni e/o servizi materiali (86,6%). L’avvento della pandemia ha di fatto costretto la rete dei servizi caritativi a rimodulare la propria operatività, anche per quanto attiene la fornitura dei beni primari. Per tale ragione, a differenza del passato, nel 2020 la micro-voce più frequente associata alla fornitura di beni e servizi materiali non è il “servizio mensa” quanto invece la “distribuzione di pacchi viveri”, che da sola copre il 40,4% di tutti gli interventi erogati nel corso dell’anno. Nel complesso, se si sommano le voci “viveri a domicilio”, “distribuzione di pacchi viveri”, “empori/market solidali”, “alimenti e prodotti per neonati”, “mensa”, “buoni pasto/ticket” (voci tutte afferenti ai beni e servizi di prima necessità), si raggiunge il 77,2% del totale degli interventi erogati nel 2020.

Gli effetti sociali della pandemia, oltre a porre in luce nuove fragilità nel sistema educativo, in particolare in quello scolastico (specie nel rapporto con la didattica a distanza), ha ribadito con maggior forza una serie significativa di punti deboli preesistenti, alcuni dei quali individuati da varie indagini specifiche, fra cui il Rapporto del 2014 di Save the Children. Riguardo al tema della dispersione scolastica tale studio pone la Sardegna, insieme al Molise e all’Abruzzo, fra le regioni con IPE (Indice di Povertà Educativa) medio-alto. Per il Rapporto Invalsi (2019) uno studente sardo su tre dell’età di 18 anni è a rischio di dispersione scolastica implicita; una categoria che comprende non solo gli studenti che abbandonano le scuole superiori prima della naturale conclusione ma anche quelli che arrivano al diploma con un livello di competenze così basso che è come se fossero rimasti alle scuole medie o ai primi anni delle scuole superiori. Per quanto attiene la dispersione scolastica implicita tutte le provincie della Sardegna, tranne Oristano e Cagliari, registrano l’indicatore più elevato fra le provincie italiane. Riguardo alla dispersione scolastica esplicita, invece, in tre regioni italiane oltre il 20,0% dei ragazzi ha abbandonato precocemente la scuola: in Sardegna (il 23,0%), in Sicilia (il 22,1%) e in Calabria (il 20,3%). In alcune province, come il Sud Sardegna (con il 25,7%), oltre un giovane su 4 (tra i 18 e i 24 anni) ha lasciato la scuola prima del diploma. Va comunque rilevato che negli ultimi tre anni in Sardegna sono stati realizzati dei significativi progressi per contrastare il fenomeno della dispersione scolastica esplicita: nel 2020 i 18-24enni che hanno abbandonato gli studi in Sardegna sono stati il 12,0%, mentre in Italia il 13,1%. Segnali evidenti di un’importante povertà educativa in Sardegna vengono offerti non solo dai dati sul fenomeno del dropout ma anche da quelli relativi agli insuccessi scolastici. Con riferimento all’anno scolastico 2019/2020, i dati del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, hanno fatto registrare in Sardegna la percentuale più bassa di diplomati agli esami di Stato (98,8%), a fronte di una media nazionale del 99,5% (in Valle d’Aosta il livello più elevato, col 100,0%). Anche per quanto attiene l’istruzione universitaria i dati non sono del tutto incoraggianti. Nel 2020 la Sardegna si è collocata al 14° posto fra le regioni italiane per la presenza di 30-34enni con istruzione universitaria (precedendo il Molise, la Basilicata, la Campania, la Calabria, la Puglia e la Sicilia). Povertà educativa, pandemia e didattica a distanza. Le lacune nel sistema di apprendimento generate dalla chiusura delle scuole, resasi necessaria per contrastare la diffusione del virus, condizioneranno inevitabilmente il benessere sociale ed economico non solo degli studenti e delle loro famiglie ma dell’intera comunità. Nei prossimi anni il deficit di competenze si tradurrà in minore capacità di partecipazione alle scelte determinanti per la vita della collettività. Ecco perché, superato il problema sanitario e ridotte le conseguenze negative dell’impatto economico derivante dai vari confinamenti imposti dalla pandemia, gli effetti della perdita del capitale di apprendimento incideranno nel lungo periodo. Oltre che con la mancanza degli strumenti informatici le famiglie si sono dovute misurare anche con l’insufficienza della copertura della rete internet, con l’inadeguatezza dei dispositivi e con la necessità di condividerli con più componenti all’interno dello stesso nucleo familiare. L’adozione sistematica della didattica a distanza ha messo alla prova le famiglie anche in termini di disponibilità di spazi adeguati, soprattutto nel caso di nuclei numerosi, influendo in modo significativo sulla concentrazione e sul rendimento scolastico, impedendo di seguire con l’attenzione necessaria le lezioni online e di poter eseguire i compiti in condizioni adeguate. La didattica a distanza ha dunque creato non poche disuguaglianze: da un lato c’è stato chi è risultato dotato degli strumenti tecnologici, degli spazi necessari ed è stato supportato in modo adeguato dalla famiglia; dall’altro lato sono stati in molti coloro che non sono riusciti a tenere il passo poiché sprovvisti di tutto ciò, determinando in diversi casi l’incremento negli abbandoni scolastici precoci. In questo scenario, si collocano le tante risposte che la rete Caritas della Sardegna ha messo in campo per contrastare la povertà educativa, in un periodo difficilissimo come quello imposto dall’emergenza sanitaria determinata dalla pandemia e di cui parla il quinto Rapporto annuale 2020-2021 della Delegazione regionale.

Il 2021 è l’anno in cui la Caritas Italiana ha compito il suo 50° anniversario di fondazione. Il suo statuto, all’articolo 3, precisa che gli studi e le ricerche sui bisogni devono «aiutare a scoprirne le cause, per preparare piani di intervento sia curativo che preventivo, [anche al fine di] stimolare l’azione delle istituzioni civili ed una adeguata legislazione». Sul piano civile, lo studio dei fenomeni di esclusione sociale richiama a una comune responsabilità volta a promuovere non solo una sorta di “terapia lenitiva” ma anche, e soprattutto, una vera e propria eradicazione della povertà a livello globale, con un impegno più incisivo, nei confronti della giustizia sociale, sotto il profilo politico e istituzionale. Anche in Sardegna la Caritas ritiene fondamentale assumere un approccio multidimensionale riguardo alla povertà, non relegandola alla sola fragilità economica. Per tale ragione risulta molto importante che anche gli interlocutori istituzionali siano molteplici, chiamando in causa le politiche familiari e quelle giovanili, le politiche attive del lavoro, le politiche abitative e quelle della salute e, come si è avuto modo di approfondire nella parte terza del presente Report, l’istruzione e la formazione professionale (tenuto conto delle strette correlazioni esistenti sul piano della povertà educativa). In questa prospettiva, la Caritas saluta con favore la deliberazione n. 25/2 del 30 giugno 2021, riguardante la composizione dell’Osservatorio regionale sulle povertà: si tratta di un primo passo verso l’operatività concreta di questo strumento previsto dalla legge regionale 23 dicembre 2005, n. 23, in attesa di una sua effettiva convocazione.