
A sei anni di distanza, lo scorso 22 marzo, è stato celebrato il Convegno regionale missionario. Il duomo di Oristano ha ospitato l’appuntamento organizzato da Missio Sardegna, alla presenza delle delegazioni giunte dalle diocesi dell’Isola.
Ad accogliere i partecipanti don Fidele Khoto, incaricato regionale per le missioni. «A distanza di sei anni – ha detto – ci troviamo qui per ribadire la centralità della missione nella vita di ciascun battezzato: siamo tutti chiamati a vivere la dimensione missionaria delle fede lì dove ci troviamo, al lavoro, in parrocchia, negli altri ambienti in cui ci troviamo ad operare».
Monsignor Roberto Carboni, arcivescovo di Oristano e vescovo di Ales-Terralba, delegato Ces per le missioni, nel suo messaggio di benvenuto ha voluto evidenziare la bellezza del ritrovarsi.
«È significativo e bello – ha detto – questo nostro convergere da diverse comunità delle Sardegna per esprimere ancora una volta quello che ci unisce». «In primo luogo – ha proseguito Carboni – la nostra appartenenza a Cristo, l’ascolto della Sua Parola, il desiderio di testimoniarlo. Inoltre siamo motivati e spinti dal voler realizzare nel nostro cammino personale e comunitario l’invito di Gesù: “Andate, portate, annunciate”.. in una parola siamo qui a testimoniare il desiderio di realizzare la vocazione missionaria nella nostra vita cristianaۚ».
«Questi incontri – ha evidenziato l’Arcivescovo – sono occasioni propizie, non perché risolvono tutti i problemi o ci danno le ricetta per risolvere e problemi e fatiche nelle nostre comunità cristiane, ma perché suscitano nel nostro cuore e nella nostra mente il desiderio di maggior impegno, aprono nuove prospettive e danno nuove idee perché il nostro dialogo con il mondo e il nostro annuncio del Vangelo sia sempre attuale».
La relazione centrale è stata tenuta da Agostino Rigon, direttore dell’Ufficio per la pastorale missionaria della diocesi di Vicenza e ideatore del Festival della missione.
Nel corso del suo intervento ha proposto ai presenti tre spunti per i lavori di gruppo. Il primo è quello relativo alla sequela missionaria, definita come «questione di sguardo».
«È in virtù di questo pazientemente acquisito ed esercitato – ha detto Rigon – che Gesù nella sua vita è rimasto in costante e vigile contatto con la realtà che lo circondava. La Sua umanità, quella che Lui ha vissuto e ci propone, è un’umanità aperta».
Nel secondo spunto di riflessione ha proposto quella che lui stesso ha definito la mistica dell’aratro. «Prima di seminare – ha ricordato – bisogna arare, cioè prendersi cura di quello che potremmo chiamare lo “strato identitario” di noi stessi. E ciò implica un accurato lavoro personale… Come ogni missionario, anche noi dobbiamo apprendere che, il processo di inculturazione della fede, passa per una decostruzione, in vista di una ricostruzione dei valori culturali che fanno parte del nostro patrimonio, inclusa la nostra immagine di Cristo. Solo così, riscoprendo l’aratro, possiamo ricordarci che il problema non è tanto cosa fare dopo aver ricevuto il seme, ma cosa è stato fatto o cosa non è stato fatto prima di seminarlo, in virtù di cosa è stato ricevuto».
Infine il terzo spunto di riflessione, la cosiddetta «mistica degli occhi aperti». «Secondo il Dio biblico – ha ricordato il direttore – significa prima di tutto e al di sopra di tutto: “Vegliare, svegliarsi, aprire gli occhi”. In forza di ciò, il cristianesimo deve essere principalmente una scuola del vedere, dello scrutare attentamente; mentre la fede deve essere questo: attrezzare le persone affinché abbiano occhi aperti, occhi per gli altri, soprattutto per coloro che di solito restano invisibili in ogni campo visivo».
In tarda mattinata la suddivisione in gruppi per dialogare sulle sollecitazioni del relatore.
Nel pomeriggio spazio alle testimonianze.
La prima quella dei coniugi Giacomo e Silvia Crispi, sposi fidei donum. «Una scelta – hanno detto – frutto di un percorso già avviato nel tempo per chi come noi ha avuto sempre a cuore la missione. Abbiamo detto “Sì” alla proposta prima per tre anni e poi rinnovata per altri tre. Abbiamo sperimentato l’abbondanza di quanto ricevuto rispetto a quanto donato: un’esperienza di gratitudine, certamente non facile, ma per la quale siamo riconoscenti».
Don Nino Carta, parroco di Osidda, nella diocesi di Ozieri, ultraottantenne ha incantato tutti con la sua spontaneità e la sua voglia di testimoniare la bellezza della missione. Mantiene ancora solidi legami con il Brasile dove ha operato per tanti anni. Segno di un profondo spirito missionario che anima la sua vocazione al sacerdozio.
Due testimonianze importanti per ricordare a tutti che la missione è patrimonio di ciascun battezzato.
La celebrazione eucaristica e il mandato missionario ai delegati presenti ha concluso il convegno regionale missionario.